Riflessione sull’evoluzione del giudizio di meritevolezza degli interessi. Commento a cass. civ. sez. iii n.° 10506/2017 – meritevolezza delle clausole claims made nel contratto di assicurazione per la responsabilità’ civile ex 1917 c.c.
Lo studio di quel particolare negozio chiamato contratto (cfr. paragrafo 604 Relazione Ministeriale al Codice Civile ove si legge che quel negozio giuridico centro della vita degli affari che si chiama contratto) non può fare a meno della disamina circa il principio causalistico che infonde l’intero ordinamento; sicché, oggetto della presente disamina è la causa del contratto, la cui rilevanza è indiscussa, sebbene sia mutato nel corso del tempo il modo di intenderla sia dalla dottrina sia dalla giurisprudenza.
Orbene, tipo, causa e meritevolezza degli interessi sono concetti la cui comprensione è resa difficile dal loro essere fluidi e mutevoli, giacché le considerazioni che, oggi, possono muovere gli interpreti sui medesimi sono molto distanti da quelle che avevano accompagnato l’emanazione del vigente codice civile nel 1942; ciò a testimonianza di una variabilità di significati legati a parametri fissi, la cui inamovibilità deve necessariamente fare i conti con l’evoluzione del sistema che, nel tempo, tende a mutare il senso tramite cui comprendere le sue strutture.
Dalla causa si dipanano tanto il tipo quanto la meritevolezza, ciò è dimostrato dalla nozione di contratto scolpita nell’art. 1321 c.c., ove si legge che il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale.
Si evince, in modo chiaro, come la presente disamina ruoti attorno alla preposizione “per” che sintetizza il principio causalistico alla cui stregua tutte le operazioni giuridiche devono essere giustificate, sicché non vi può essere costituzione, regolazione, estinzione di un rapporto giuridico patrimoniale, senza una giusta causa (ragionamento, questo, che trova sostengo dalla lettura dell’art. 2041 c.c., laddove si evince che se vi è arricchimento ingiustificato, manca una giusta causa sottesa all’operazione economica che vede protagoniste le parti, ossia i centri di imputazione degli interessi in gioco in una determinata dinamica negoziale).
Orbene, se la preposizione “per” rappresenta la causa del contratto, ciò implica che essa debba essere oggetto dell’accordo da cui origina il negozio giuridico, ciò in quanto il consenso che le parti prestano alla nascita della relazione giuridica è mosso da una giustificazione che l’ordinamento civile chiama causa.
Non è, quindi, un caso che l’art. 1325 c.c. all’atto di elencare i requisiti del contratto indichi in modo consequenziale l’accordo (n.° 1) e la causa (n.° 2), in quanto tra questi due elementi vi è intimo collegamento, atteso che se il contratto ha forza di legge tra le parti (art. 1372, co. 1 c.c.) ciò implica che la causa sia la legge di copertura del contratto, ossia scheletro che regge l’intero organigramma contrattuale senza il quale esso non potrebbe svolgere alcuna funzione.
Il concetto di causa consente di riflettere sui contratti che l’ordinamento pone in essere sul contratto, giacché se la causa è illecita, ossia contraria a norma imperative, all’ordine pubblico o al buon costume (art. 1343 c.c.), ciò implica la nullità virtuale del contratto (art. 1418, co 1 c.c.), salvo che la legge disponga diversamente (art. 2126, co 1 c.c.).
Qualora la causa dovesse mancare il contratto non sarebbe sorretta da una valida struttura, sicché esso cadrebbe sotto la scure di un giudizio di nullità per mancanza di elemento essenziale (art. 1418, co. 2 c.c.), a testimonianza della estrema importanza di tale requisito nell’ottica della corretta instaurazione del vincolo giuridico di matrice contrattuale.
Tali riflessioni consentono di indagare il concetto di tipo, ma anche sul peso che assume, nell’economia della presente disamina, il giudizio di meritevolezza degli interessi sottesi alla relazione contrattuale.
Si può affermare che maggiore è il peso che viene assunto dal tipo, minore è il ruolo giocato dalla meritevolezza e viceversa, dovendosi allo stato attuale sottolineare come i poli di questa relazione oppositiva siano posti in posizioni differenti rispetto a quelle che aveva previsto la mentalità dirigista che anima il codice del 1942.
L’analisi dell’evoluzione giurisprudenziale e dottrinaria consente di guardare in modo differente sia il tipo sia la meritevolezza, avendo bene in mente che la loro essenza muta a seconda de modo con cui si interpreta la loro matrice, ossia la causa del contratto, da sempre coinvolta in una accesa dialettica tra astrattezza e concretezza, sebbene, oggi, si sia coscienti del fatto che essa non possa fare a meno della sua natura ambivalente.
Orbene, la causa astratta dà rilevanza al tipo, ossia alla enucleazione di contratti tipici della cui meritevolezza non si può dubitare, in quanto tale giudizio è posto in essere a monte dal Legislatore.
Il tipo, ossia il contratto tipico, rappresenta un giudizio causale posto in essere dal Legislatore, il quale enuclea una struttura contrattuale la cui rilevanza è data dall’osservazione delle relazione sociali.
Tale ragionamento è il risultato che si determina dal considerare la causa come funzione economico-sociale sottesa alla singola operazione negoziale, sicché l’intero Titolo III del Libro IV del codice civile, dedicato ai contratti tipici, vive di tale impostazione, in quanto ogni Capo del suddetto Titolo (salvo rare eccezioni, si veda ad esempio il Capo IX dedicato alla mediazione, ove l’art. 1754 c.c. non definisce il contratto di mediazione, bensì la figura del mediatore), esordisce con un articolo dedicato alla nozione del singolo contratto, in cui è riassunta la causa astratta che sorregge l’intera operazione economica.
Discende da ciò che, ai sensi dell’art. 1470 c.c., la vendita è il contratto che per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento dei un altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo.
Il tipo è bene delineato da una causa astratta che nella specie è la sintesi dello scambio di cosa contro prezzo, il quale rappresenta la funzione sociale ed economica della vendita, quale contratto che sottende la più comune operazione tesa a far circolare la ricchezza all’interno dell’ordinamento giuridico.
In ragione di ciò il giudizio di meritevolezza degli interessi è svolto, a monte, dal Legislatore, il quale alla luce della lettura astratta della causa non può che prevedere tipi contrattuali meritevoli.
In buona sostanza il tipo semplifica l’operazione interpretativa del giudice, il quale, una volta sussunta la fattispecie nella norma che regolamenta il tipo, non è più chiamato ad interrogarsi circa la presenza o meno della causa, né deve compiere alcun giudizio circa la meritevolezza degli interessi sottesi alla dinamica oggetto della sua cognizione.
La causa astratta è legata al tipo e relega il giudizio di meritevolezza ad un ruolo subalterno, atteso che esso si svolge quando il tipo non c’è, ossia quando l’interprete è dinanzi ad un contratto atipico.
Ai sensi dell’art. 1322, co 2 c.c. le parti possono anche concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.
Discende da ciò che il giudizio di meritevolezza degli interessi gioca un ruolo decisivo solo quando vi è un contratto atipico, ossia non previsto dai vari tipi indicati dal Legislatore, in quanto la presenza del tipo assorbe il giudizio circa la meritevolezza dello scopo perseguito dalle parti, attesa la astratta corrispondenza del tipo con i principi dell’ordinamento giuridico.
Simile impostazione di sistema dà rilevanza ai motivi solo quando essi sono indice della illiceità, ovvero della contrarietà a norme imperative, ordine pubblico e buon costume delle ragioni che hanno spinto le parti a contrattare (art. 1345 c.c.)
Ragionare alla luce della causa astratta significa stigmatizzare a monte il negozio indiretto, il quale è visto come strumento volto ad eludere l’applicazione di una norma imperativa, sicché si reputa altresì illecita la causa è espressione che l’art. 1344 c.c. riferisce al fatto che la stessa on può mai essere illecita in astratto. La causa, allora, si reputa illecita (così l’art. 1344 c.c.), perché non si può ammettere che essa è illecita (GAZZONI, Francesco, Manuale di Diritto Privato – XVII edizione aggiornata con riferimento di dottrina e di giurisprudenza, Napoli: Edizioni Scientifiche Italiane, 2015 pag. 830).
Orbene, simile impostazione, oggi, ha ceduto il passo ad una nuova visione della causa, maggiormente legata ad uno studio delle relazioni giuridiche teso a sovvertire il rapporto tra forma e sostanza delineato dalla disciplina codicistica. Legge la causa non più in astratto ma in concreto, significa dare rilevanza alla sostanza e non alla forma, ovvero sottende una operazione interpretativa tesa a valorizzare il risultato concreto che le parti intendono raggiungere con il contratto stipulato.
La fissità degli schemi fa i conti con il mutare degli approcci ermeneutici, sicché la causa non è più ragione economico – sociale del contratto, bensì sintesi degli interessi essenziali che muovono le parti ad autovincolarsi con la stipulazione del contratto.
Se la causa diviene ragione economico – sociale in concreto, ciò implica un sovvertimento dei poli, sicché il tipo perde la sua forza a scapito della meritevolezza degli interessi ed anche i contratti tipici devono passare sotto tale giudizio.
In disparte i ragionamenti sottesi alla configurazione della vendita a prezzo vile o irrisorio come vera e propria vendita ex art, 1470 c.c., ciò che preme sottolineare è che una simile riflessione piò essere compresa solo alla luce del cambiamento di paradigma sulla base del quale costruire ogni ragionamento ermeneutico.
La causa in concreto rappresenta l’evoluzione del concetto oggetto di attenzione, sicché rispetto ad essa cambia il modo di intendere il tipo e la meritevolezza, giacché la concretezza richiede una indagine che vada oltre la semplice adesione delle parti al tipo, in quanto anche un contratto tipico può essere nullo per difetto di causa ex art. 1418, comma 2, c.c.
Ciò implica, da un lato dare spazio ai motivi esternati dalle parti, sottesi alla operazione negoziale; dall’altro favorire i negozi indiretti, in quanto un contratto tipico può essere utilizzato per raggiungere fini differenti rispetto a quelli astrattamente previsti dal Legislatore, generando la crisi del contratto in frode alla legge ex art. 1344 c.c., in quanto la causa sarà reputata illecita solo quando immeritevoli saranno giudicati gli interessi concreti che spingono le parti a far deviare da binari pre-impostati gli schemi tipici.
Alla luce della causa in concreto possono essere comprese dinamiche del tutto prive di senso nell’ottica di una causa astratta e predeterminata; sicché intendere la causa come la sintesi degli interessi concreti consente di guardare con molto più interesse a fenomeni come il collegamento negoziale, ove schemi tipici vengono collegati per il raggiungimento di finalità differenti rispetto a quelle che sono a monte individuate dalla astratta previsione normativa.
Ad una attenta analisi causa astratta e causa concreta sono due facce della stessa medaglia, ossia la causa che ammanta il contratto, sebbene i piani su cui agiscano siano diversi.
Ciò in quanto la causa astratta guarda al contratto in termini di liceità, atteso che se il contratto non è lecito è fuori dalla razionalità del sistema, in quanto è contrario alle logiche del suo funzionamento, non è quindi possibile ammetterlo alla luce del principio di non contraddizione che vuole il sistema sempre coerente con se stesso.
Una volta che il contratto entra nell’ordinamento giuridico, in quanto lecito, occorre in concreto verificare la sua meritevolezza, in quanto ciò che astrattamente può essere in linea con le logiche del sistema, in concreto può generare disfunzioni che il medesimo non può tollerare, giacché il fine astratto non può essere perseguito con strumenti meritevoli di tutela.
Discende da ciò che il regno della causa concreta è il regno della meritevolezza degli interessi, giudizio di valore che deve risultare positivo affinché l’ordinamento presti, a valle, tutela alla posizioni giuridiche sottese alla operazione negoziale oggetto di attenzione.
In buona sostanza anche il tipo deve essere meritevole di tutela, in quanto ciò che conta è il risultato che le parti si sono date da perseguire all’interno del programma obbligatorio nato dal contratto (artt. 1173, 1321, c.c.).
Oggi, rispetto al passato, il peso della meritevolezza è certamente aumentato, assumendo un ruolo centrale nell’economia di una riflessione che abbia come scopo quello di delineare il problema conoscitivo della causa del contratto.
La dimostrazione delle affermazioni che precedono risiede nella disamina posta in essere da Cass. Civ. Sez. III, n.° 10506/2017 sulle clausole claims made (a richiesta fatta), inserite all’interno dei contratti di assicurazione per la responsabilità civile ex art. 1917 c.c.
Sorvolando su un dibattito molto acceso in dottrina e giurisprudenza circa la natura giuridica di tali clausole, occorre riflettere sul ragionamento posto in essere dalla giurisprudenza di legittimità che, una volta appurata la loro essenza, ossia quella di limitare l’oggetto della prestazione dedotta in contratto e non la responsabilità dell’assicuratore (ex art. 1229 c.c.), ha ragionato circa la meritevolezza degli interessi sottesi ai patti o contratti legati al funzionamento di simili clausole.
Il ragionamento condotto ha portato ad una soluzione che ancora oggi fa vacillare gli interpreti, ma che dà il senso alle riflessioni condotte sino a questo momento, giacché le claims made sono state considerate nulle ne momento in cui l’analisi concreta della vicenda negoziale non consentiva l’individuazione di interessi meritevoli di tutela.
Vincolare il diritto all’indennità, frutto della manleva assicurativa, alla preventiva richiesta di risarcimento del danno del danneggiato nei riguardi dell’assicurato intervenuta nella vigenza del rapporto contrattuale in essere tra questi e l’assicuratore è da considerare immeritevole di tutela; poiché concretamente l’operazione negoziale oggetto di attenzione viola logiche di solidarietà sociale e ciò rende nulle le clausole che impediscono una richiesta postuma da parte del danneggiato, intervenuta dopo la scadenza del contratto.
Il giudizio di meritevolezza è giudizio di valore e se fallisce comporta la nullità del contratto per violazione dell’art. 1322, co. 2 c.c., sicché il contratto è nullo non solo quando è assente la causa (artt. 1325, n.° 2 – 1418, co. 2 c.c.), ma anche quando pur essendo presente sia immeritevole. La meritevolezza è un giudizio che non si esaurisce mai nella liceità (il giudizio di liceità, come detto, è a monte e si pone come prius rispetto alla meritevolezza che, invece, si pone a valle, circa l’analisi della validità del negozio contrattuale) del contratto, del suo oggetto o della sua causa. È un giudizio, non è un requisito del contratto e deve investire non il contratto in sé, ma il risultato perseguito.
La fenomenologia aggetto di attenzione vede la venuta meno di una clausola (claims made) che porta con sé l’intero contratto, salvo interventi di natura ortopedica sulla sua struttura, in grado di evitare l’applicazione dell’art. 1419, co. 1 c.c.
L’analisi della dinamica concreta ha consentito di rilevare come la presenza di queste clausole comportasse squilibri nella relazione negoziale che non potevano essere generalmente acconsentite, in quanto palesemente in grado di creare situazioni di ingiustificato vantaggio di una parte rispetto all’altra all’interno del contratto.
Negare le richieste postume alla scadenza del contratto di assicurazione significa sottomettere il contratto aleatorio per eccellenza, ossia l’assicurazione, ad un’ulteriore alea, ossia la necessità che la richiesta di risarcimento venga presentata all’assicurato nei termini di vigenza della polizza assicurativa.
Ciò crea i presupposti per una diminuzione della tutela dell’assicurato, in quanto più il danno viene a sussistere in limine alla scadenza della polizza, meno possibilità ci sono che illico et immediate il danneggiato chieda il risarcimento al danneggiante (assicurato) entro la vigenza della polizza, specie quando si è in presenza di danni lungo-latenti frutto di frutto di inadempienze professionali.
Ciò genera una squilibro immeritevole tra le parti (nel codice civile non esiste il contratto giusto, ma il contratto equo, ossia il contratto in cui il rischio viene equamente distribuito tra le parti alla luce della causa sottesa all’operazione), in quanto da un lato l’assicurato è tenuto a sollecitare la richiesta di risarcimento nei termini di vigenza della polizza, in palese violazione dell’obbligo di salvataggio (art. 1914 c.c.) secondo cui l’assicurato deve fare quanto gli è possibile per evitare o diminuire il danno; dall’altro l’assicuratore può avvantaggiarsi della dinamica scaturente dalla claims made, giacché la presentazione di una richiesta postuma lo solleva dell’obbligo di indennizzare l’assicurato.
Questi, qualora risarcisce il danno al danneggiato, in ossequio alla buona fede, quale espressione della solidarietà sociale (ex art. 2 Cost.), si vedrebbe scoperto dalla polizza assicurativa, in quanto l’assicuratore potrebbe opporgli che nessuna richiesta di risarcimento gli è stata avanzata, in ragione della preventiva soddisfazione del danneggiato ad opera dell’assicurato in ossequio a canoni di correttezza.
Tali clausole sono immeritevoli di tutela e meritano di essere espunte dal contratto, con sostituzione della logica loss occurance che sottende la disciplina dell’art. 1917 c.c. (quanto non intervenga rinegoziazione del contratto ex art. 1, comma 26 legge 124/2017 secondo cui […] in ogni caso, fatta salva la libertà contrattuale delle parti, le condizioni generali delle polizze assicurative di cui al periodo precedente prevedono l’offerta di un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di operatività della copertura. La disposizione di cui al periodo precedente si applica, altresì, alle polizze assicurative in corso di validità alla data di entrata in vigore della presente disposizione. A tal fine, a richiesta del contraente e ferma la libertà contrattuale, le compagnie assicurative propongono la rinegoziazione del contratto al richiedente secondo le nuove condizioni di premio […]), in quanto la loro inficia l’intero organigramma contrattuale ponendolo in contrasto con l’art. 1322, co. 2 c.c., giacché impongono all’assicurato di agire contro canoni di solidarietà sociale ex art. 2 Cost.
In ciò l’assenza di meritevolezza che è giudizio teso a valutare la concreta rispondenza del contratto ai principali gangli che reggono l’ordinamento.
Quanto affermato dimostra la rilevanza assunta, oggi, dalla causa concreta, giacché solo guardando al concreto dipanarsi della relazione giuridica possono essere individuati vizi genetici della stessa, tanto da essere colpiti con la nullità virtuale (art. 1418, co. 1 c.c.).
La nullità, dunque, è sanzione comminata verso ciò che l’ordinamento non riconosce idoneo a produrre effetti vuoi per deficit strutturali (art. 1418, co 2 c.c.); vuoi per immeritevolezza degli scopi (motivi) che hanno spinto le parti ad autovincolarsi.
Il tutto alla luce di quanto disposto dell’art. 41, co. 2 Cost secondo cui la libera iniziativa economica non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana; ciò stando a significare che la legge di copertura che rende un contratto socialmente dannoso merita di essere espunta dall’ordinamento giuridico, in ragione della sua immeritevolezza.
Avv. Pierandrea Fulgenzi