Due eventi apparentemente scollegati fra loro, occorsi negli ultimi giorni, racchiudono un profondo significato simbolico:
a) domenica sera nel teatrino televisivo orchestrato da Fabio Fazio, rigorosamente in prima serata sul servizio pubblico, dopo il consueto sermone del Prof. Cottarelli sui “Conti-in-Ordine”, fa il suo ingresso sulla scena, quasi in guisa catartica, Roberto Saviano. Il noto scrittore ed intellettuale si concede questa apparizione nella sua arena televisiva preferita per presentare, insieme al regista Claudio Giovannesi, il film in uscita nelle sale cinematografiche La paranza dei bambini, tratto dal suo omonimo romanzo ed avente per tema il tipico cavallo di battaglia dell’autore: la narrazione “immaginifica” del mondo della criminalità organizzata napoletana. Il suo intervento può riassumersi così: questi “scugnizzi” di Napoli sono nella maggior parte dei casi ragazzi dotati di un talento e di un acume imprenditoriale molto superiore alla media. Ciò implica che abbiano una legittima e sana aspirazione ad “emergere”, ad affermarsi economicamente, ad emanciparsi dalla subalterna condizione sociale che ha riservato loro il Destino. L’unico errore che compiono è quello di cercare scorciatoie per farlo: invece di utilizzare il loro talento al servizio della sfida della cosiddetta “meritocrazia”, cogliendo tutte le opportunità che il grande gioco della globalizzazione competitiva mette a disposizione all’interno del set di regole che lo legittimano, loro, in assenza di guide e modelli culturali che li indirizzino verso questo percorso dorato, peccano di “impazienza” e scelgono la via apparentemente più breve della criminalità.
b) la nota popstar planetaria Lady Gaga, icona dei movimenti lgtb, rilascia un’intervista a margine di uno dei tanti eventi di promozione del film A star is born, che la vede impegnata nel ruolo di co-protagonista. Durante la stessa intervista, si commuove quando, dopo aver raccontato del suo passato liceale in cui era una semplice ragazza “mediocre” ed “anonima”, non molto popolare fra i suoi coetanei, fatta oggetto di ilarità per il suo aspetto fisico e le sue aspirazioni di successo, rivendica orgogliosamente di avercela fatta e di aver smentito tutti coloro che non credevano in lei. Ma esattamente in cosa ce la avrebbe fatta? Ce l’ha fatta anche lei, come diceva Saviano, ad “emergere”!! Emergere dalla massa informe e plebea della mediocrità.
E’ ormai evidente come siamo immersi in una concezione di realtà sociale del tutto “gamificata”, in cui l’unica cosa che conta veramente è emergere dalla mediocrità, partecipando a questo planetario gioco a livelli in cui obiettivo ultimo è elevarsi al di sopra degli altri individui, raggiungere uno status economico o sociale che consenta di affacciarsi dall’alto del proprio “hotel sull’orlo dell’abisso” (splendida metafora utilizzata da Lukacs per descrivere la distanza fra élites e plebe miserabile) e osservare lo strapiombo di chi non ce l’ha fatta, suggellando poi il tutto attraverso l’ostentazione di una ipocrita empatia e compassione verso coloro (i “perdenti” del giochino) che, per forza di cose, subiscono le conseguenze del successo dei vincenti (Lady Gaga, dopo aver superato la sua commozione autocelebrativa, chiude la sua intervista esortando i suoi fan: “Non permettete a nessuno di tarpare le vostre aspirazioni ed i vostri sogni. Se ce l’ho fatta io, potete farcela anche voi“).
Solo in ciò risiede oggi la ricerca di senso e significato: prevaricare il prossimo in nome di una lotta darwinistica legittimata grazie al totem fittizio della “meritocrazia”. Ogni tipo di valorizzazione delle relazioni comunitarie, solidali, paritarie e non competitive, scevre da qualsiasi contenuto economicistico, è ormai drasticamente scomparso dall’orizzonte filosofico contemporaneo. Fino al punto che il dibattito mainstream (come dimostrano i due casi in parola) non mette nemmeno più in discussione alla radice la violenza, l’individualismo, il competitivismo insiti nel sistema sociale dominante, sottoponendo a critica solo gli aspetti per così dire “regolamentari” della competizione stessa: la lotta per la sopraffazione reciproca deve cioè avvenire secondo i canoni artificiali della “meritocrazia” che, a una più attenta analisi sono funzionali proprio a far sì che la partita nemmeno si disputi ed i vincitori siano sempre gli stessi. Ragionando in quest’ottica, forse gli “scugnizzi” di Napoli non hanno tutti i torti nel cercare delle scorciatoie per la loro emancipazione sociale. Forse, proprio perché dotati di acume (come giustamente rilevato da Saviano), sono in grado di cogliere le contraddizioni di questo sistema sociale magnificato urbi et orbi e di capire che l’ordine “meritocratico” così sapientemente predisposto, nella maggior parte dei casi, non consente di fatto alcun tipo di “emersione” o emancipazione sociale ma ha, piuttosto, il solo diabolico effetto di indurre gli sconfitti ad auto-colpevolizzarsi per non essere stati all’altezza di sfruttare le opportunità offerte dal “giochino meritocratico” e a ritenere, appunto, “meritata” la loro condizione di subalternità.
Guido Carlomagno, IASSP